Alla Biennale Architettura di Venezia omaggio al pioniere dello spazio Potocnik

08 Mag 2014 Stampa

Venezia – L’architettura è stata sempre vista come una disciplina legata alla progettazione e all’organizzazione di un territorio, ma con l’evoluzione della tecnica la prospettiva umana si è ampliata per includere orizzonti più estesi che implicano luoghi ubicati al di là della superficie terrestre. Lo spazio inteso come cosmo è l’incredibile visione che il Centro Culturale Europeo di Tecnologie Spaziali (Ksevt), in collaborazione con la Biennale di Venezia, presenta al padiglione sloveno della 14.a Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, dal 7 maggio  al 23 novembre, con la mostra “Il problema della navigazione nello spazio – Supre:architettura”. Un progetto che La Biennale di Venezia ha invitato assegnandogli una sede centrale dell’Arsenale.

Nel suo passato la tradizione slovena annovera un illustre pioniere dell’architettura dello spazio, l’ingegnere Herman Potocnik (Pola, 1892 – Vienna, 1929), che nel 1928 pubblica la ricerca “Il problema della navigazione dello spazio – Il motore a reazione” (con lo pseudonimo Hermann Noordung). La sua visione dell’architettura viene espressa attraverso oggetti e fabbricati culturali (comprese le strutture architettoniche), che consentirebbero la sopravvivenza umana in caso di pericolo, persino nelle mortali condizioni di gravità zero, in modo da ricordare i fondamenti e l’importanza oggi assunta dallo spazio.

Il Centro Culturale Europeo di Tecnologie Spaziali sta lavorando sul collegamento che si può instaurare tra le soluzioni scientifico-tecnologiche e l’appropriazione dello spazio da parte delle Arti e delle Lettere. Il contributo delle arti e delle scienze umanistiche alla progettazione architettonica dello spazio, delineato da Potocnik con il suo approccio non militarista, consiste nel riconoscere uno spazio culturale in assenza di gravità e in condizioni artificiali per gli esseri umani. Potocnik propose diverse possibili realizzazioni di stazioni spaziali e satelliti geostazionari.

Descriveva anche in maniera dettagliata i tre moduli di cui si sarebbe dovuta comporre una particolare stazione: la Wohnrad (ruota abitata), che sarebbe dovuta restare in rotazione continua per produrre artificialmente la forza di gravità, una centrale elettrica che sarebbe dovuta essere alimentata dall’energia solare con uno specchio parabolico, ed un osservatorio astronomico. La sua idea di un satellite fermo a circa 36.000 km di altezza, che rimanesse costantemente sopra lo stesso punto della Terra, fu più tardi resa reale dai satelliti per le telecomunicazioni e meteorologici, grazie all’orbita geosincrona.

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