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Palazzo Ducale di Massa. “Il corpo è un livido”, una mostra racconta la violenza sulle donne

In occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne dichiarata dall’Onu e che si celebra lunedì 25 novembre, nel Palazzo Ducale di Massa (Ms), Piazza Aranci 35, si può visitare la mostra “Il corpo è un livido”, curata da Davide Di Maggio e Nerina Toci, organizzata dall’associazione Quattro Coronati, dalla Fondazione Mudima di Milano e dalla Provincia di Massa Carrara. Inaugurata sabato 16 novembre, la mostra sarà aperta tutti i giorni fino al 1 dicembre e raccoglie 20 fotografie e un video di cinque artiste di caratura internazionale molto conosciute nell’ambito dell’arte contemporanea che hanno sempre trattato il tema della donna all’interno della società: Diane Arbus, Nan Goldin, Gina Pane, Shirin Neshat e Francesca Woodman. Cinque modi di raccontare la condizione femminile e la violenza (fisica e psicologica) sulle donne e di come è sfruttato soprattutto il loro corpo, fatto che finisce con il collocarle in un piano inferiore in un ambiente decisamente maschilista. “Il corpo delle donne è come campo di battaglia – spiegano i curatori della mostra -, non è la sofferenza a muovere l’emotività collettiva. Non è l’identità della vittima che conta, la sua storia, la sua dignità, la sua ferita.

E non è uno slancio empatico a guidare il dibattito sui media. Le donne restano sullo sfondo, accessorie, funzionali o altro”. “Scegliere le immagini è stata una scelta complessa – aggiunge Mauro Daniele Lucchesi dell’associazione Quattro Coronati – perché alcune mostravano corpi femminili che avevano subito violenza: immagini forti e dirette che potevano suscitare obiezioni. Abbiamo preferito poi foto che rappresentano l’aspetto psicologico della violenza subita e quello che il corpo vuole dimostrare per non essere considerato diverso, anche se è strano pensare che le immagini possano essere violente a differenza di chi invece la violenza l’ha subita veramente”. Per Diane Arbus (New York 1923 – 1971) la fotografia è strenua affermazione del proprio essere deforme: del proprio esistere, in quanto individuo/entità autonoma, al di là di ogni forma prestabilita e imposta. E proprio la categoria del deforme, infatti – nella sua accezione etimologicamente neutra, e quindi sgombra da qualsiasi intento di giudizio -, il campo prescelto da questa fotografa americana per cercarsi, e riconoscersi, nel mondo che la circondava. Nan Goldin, (Washigton, 1953) osserva la parte trasgressiva e nascosta della vita della città con un approccio intimo e personale. Ritrae amici e conoscenti, ma anche sé stessa, come nel celebre autoritratto un mese dopo essere stata picchiata. Una delle maggiori esponenti della Body Art è Gina Pane, nata a Biarritz in Francia il 24 maggio 1939 e scomparsa precocemente il 5 marzo 1990 a Parigi.

E’ diventata un simbolo del dolore fisico ed emotivo come liberazione. I suoi primi lavori sul corpo risalgono al 1968, ma la prima azione in cui si ferisce è del 1971, e s’intitola Escalade in cui, con lamette, si taglia in varie parti del corpo: l’orecchio, la lingua, le mani. Le sue performance sono emotivamente sconvolgenti ma hanno un potere rituale, esorcizzante. È una ricerca in se stessa e nell’altro che fa del limite della sofferenza una forma di rivoluzione. Nata a Quazvin, in Iran, nel 1957, Shirin Neshat, artista di arte visiva, pone in relazione la religione islamica come oggi si manifesta e il femminismo, il rapporto fra i sessi, le censure di ordine sociale che regolano l’espressione del desiderio, la diversità». Lo fa, però, in una prospettiva che «non intende dare giudizi, ma anzi ridiscutere le nostre certezze ideologiche e lasciare aperte le interpretazioni»: i suoi lavori, come ha scritto qualcuno, sono «un ponte fra le contraddizioni che attraversa il fiume dei pregiudizi». Breve la vita di Francesca Woodman: la fotografa americana, nata nel 1957, pose fine ai suoi giorni il 19 gennaio del 1981, aveva 23 anni. Woodman è una delle figure più emblematiche dell’arte degli ultimi trent’anni. Figlia di artisti – padre pittore, madre ceramista – , interessata alla fotografia sin da quando aveva tredici anni. Fotografava spesso sé stessa: si autorappresentava per una questione di praticità ma anche per conoscersi, indagando la sua fisicità e il rapporto con il contesto, lasciandosi travolgere da un flusso di coscienza dove soggetto e oggetto stabiliscono una relazione fluida e indefinita. Nel calendario della mostra è previsto anche un evento proprio per il 25 novembre, alle 17.15, con la presentazione del libro di Angela Maria Fruzzetti “Giardini d’inverno”, il racconto di alcune donne, a cui l’autrice assegna il nome di alcuni fiori, che rinascono dopo aver subito forme di violenza. La mostra sarà aperta ad ingresso libero tutti i giorni fino al 1 dicembre dalle ore 16 alle ore 19. Info. Tel. 3791855725.